Lo spazio protetto
Dora Kalff ha definito la cassetta della sabbia uno “spazio libero, ma protetto”, intendendo per libero la totale libertà di utilizzo di quello spazio da parte del paziente per dare forme e sembianze alla sua fantasia. Questo gioco della fantasia influenza la dinamica dell’inconscio, smuove e mette in moto energia psichica che va contenuta, vincolata. Va protetta, come dice Dora Kalff, affinché possa svilupparsi in modo fruttuoso, possa trasformarsi in energie creative e agire così sulla psiche.
Perché ciò avvenga è necessario che il gioco della fantasia sia espletato entro confini “limitati e individuali” e alla presenza di un terapeuta, di un “custode”, come lo definisce Dora Kalff, in grado di mettere in custodia lo spazio, la libertà e i limiti (D. Kalff, 1966). La triade che ne scaturisce nel mettere insieme lo spazio, la libertà e i limiti si presenta come un’unità inscindibile a cui si attengono sia il paziente che il terapeuta. Questa triade crea già di per sé un’unione, un legame, una relazione che si sviluppa seguendo traiettorie individuali e nello stesso tempo comuni. Lo spazio della sabbiera quindi è uno spazio libero con dei limiti ben definiti in cui il paziente materializza il suo spazio interno attraverso la sua fantasia psichica, uno spazio che si trova all’interno di un altro spazio più ampio che è la stanza della sabbia; il tutto è “sorvegliato”, nel senso che è accolto in un altro spazio che è la mente del terapeuta il quale si presenta, si offre anch’esso come uno “spazio vuoto” e quindi libero di accogliere e contenere tutto ciò che nei vari spazi si manifesta e che a sua volta ha dei limiti ben definiti nel senso che il terapeuta non può intervenire nello spazio circoscritto della sabbiera e non interpreta ciò che in essa si manifesta.
Uno spazio quindi, quello del terapeuta, che è rappresentato dalla sua disponibilità interna che rende ragione della sua funzione che è quella di creare un’atmosfera favorevole, resa possibile proprio attraverso l’attivazione di un “vuoto interiore” aperto e pronto ad accogliere tutte quelle ragioni del cuore che consentono di intravedere il senso dell’esperienza psicologica e umana, e di andare al di là della loro apparenza per afferrare e interpretare la dimensione profonda e radicale (D. Kalff, 1974). Uno spazio interno, quello del terapeuta, dove è possibile attivare un ascolto intuitivo, un’area infinita e impalpabile del cuore come forma di conoscenza; di quella conoscenza che si rende manifesta attraverso le “antenne vibranti dell’intuizione”, come sonda che consente di intravedere le profondità dell’anima: le sue espressioni e i suoi abissi, le sue lacerazioni e la sua bellezza (S. Weil, 1985).
Lo spazio protetto, la sabbiera, diventa quindi qualcosa da mettere a disposizione dell’altro per fare esperienza della sua realtà psichica nell’assoluta libertà di immaginare e di scegliere una propria modalità di cammino interiore, di dialogare con il proprio mondo interno attraverso un altro infinito mondo simbolicamente rappresentato e a sua disposizione, dal quale si sollevano echi, richiami, inviti, solleciti, voci assopite, ma non dimenticate, e attraverso il quale far rivivere, portare in essere volti, luoghi, sapori, dolori imprigionati nei sotterranei oscuri della psiche in un gioco infinito di rappresentazioni. Un luogo-spazio inusuale per il paziente in cui fare esperienza della sua realtà psichica che si materializza attraverso l’utilizzo di un infinito conscio collettivo già “storicizzato” in oggetti al servizio dei bisogni consci e inconsci del singolo processo di sviluppo; e che scaturisce e viene arricchito dal mondo immaginale del terapeuta che gioca a raccogliere e a collezionare oggetti e figurine, che hanno sì una valenza simbolica già storicizzata, ma che egli sceglie anche in base alla risonanza con il proprio vissuto interno che quel particolare oggetto attiva dentro di sé. In tal senso possiamo dire che ogni oggetto che il paziente usa nella scena porta con sé immagini relative al proprio vissuto e nello stesso tempo evoca immagini e vissuti del terapeuta. Questo mette in moto energie sincroniche, facilita il dispiegarsi e incrociarsi di vissuti interiori sul piano simbolico in uno spazio di gioco, in cui viene e determinarsi una sovrapposizione di due modalità di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta di cui parla Winnicot (D. W. Winnicott, 1971).
Possiamo dire che la stanza della sabbia si configura come un laboratorio “alchemico” in cui vengono a confluire più livelli di spazi sia percettivi che strutturali, quindi sia esterni che interni alla coppia analitica e che nel loro incontrarsi creano un ulteriore spazio, uno spazio gravido di opportunità, di momenti pregnanti in cui può scaturire una sorte di insolita apertura dell’uno e dell’altro, che accelera e in qualche modo precondiziona il costituirsi di quello spazio magico che farà da contenitore al processo stesso.